L’abbandono…

“…E ora che si fa?… La curiosità è femmina ed io non faccio eccezione alla regola; parlo sempre da sola soprattutto quando esco per fotografare, chi tace acconsente ed io sono la mia interlocutrice  preferita. Mi sono svegliata presto oggi per una delle mie “battute di caccia”; il posto l’ho scelto due giorni fa, una casa abbandonata in un paesino qui vicino; ci vanno spesso tutti quelli che fotografano i luoghi abbandonati, ultimamente fioccano dal cielo queste associazioni. Ma io non farò come tanti, non voglio alterare la scena, io voglio interagire con essa, parlarci, e come un voyeur che si avvicina ma non troppo, quando arrivo alla casa abbandonata, rimango fuori. La studio, mi fermo e poi riparto; ho dovuto attraversare quello che una volta era un giardino ed ora è una foresta di rovi e ortiche, il cancello arruginito è poggiato a terra, sembra si stia riposando per la stanchezza. Faticosamente e con qualche graffio in più sulle gambe ( e spero solo quello) arrivo a ridosso della casupola; mattoni di tufo verdi muschiati fanno capolino da sotto l’intonaco venuto via, l’entrata ha ancora i cardini con un pezzo di legno ancora attaccato e del tutto ammuffito, una volta doveva essere una porta assai leggera; vedo solo due finestre da questo lato, le imposte di legno ci sono ma  dei vetri ormai ne sono rimaste solo le schegge in terra. Il tetto mostra solo alcune enormi travi in legno, quelle hanno resistito alle intemperie, ma non il rivestimento, venuto via ormai da tempo. L’insieme mi fa pensare ad una casa modesta, umile, contadini? Forse sì. Dopo le prime considerazioni, comincio a scattare, una, due, dieci fotografie, ogni angolazione e ogni punto luce è buono ma mi perdo, dopo un po’ mi rendo conto di aver smarrito il senso della mia visita e del tempo. Mi fermo, mi capita spesso quando esco, prima la perlustrazione, poi gli scatti a raffica e poi il disorientamento, ma mi riprendo sempre; c’è l’altra me che mi richiama all’ordine, la me più razionale e ordinata mi ferma e mi ricorda il motivo per il quale ho deciso di arrivare fin qui. Qual era il tuo obbiettivo? Ah sì. Ora ricordo, volevo fotografare l’abbandono ma senza adulterare il posto, devo interagire ed entrare nell’ottica. Cos’è abbandono? Pensa… E’ quel che resta dopo aver vissuto intensamente qualcosa, dopo averla desiderata, assorbita, masticata e poi risputata; è volere per poi lasciarsi, è amare per poi odiare. L’accezione non sempre è negativa, l’abbandono è lasciar andare, è far sopravvivere qualcosa anche dopo il nostro passaggio.
Ok, ora ci sono, sono rientrata nei ranghi, sono nella giusta prospettiva, la devo solo applicare al momento presente e al luogo… vai… parti… click!, click!, click!.. ok, ora basta… via. Niente sprechi, non rimango più del necessario, tutto si è svolto nel silenzio più assoluto, come piace a me. La totale assenza di rumori è la forma più alta di rispetto per ciò che qui è passato e vissuto; ecco è proprio questo il suono dell’abbandono, solo i miei piedi che schiacciano mattonelle rotte o rami rinsecchiti. Ora esco, torno a casa. Sono l’ennesimo abbandono per questa casa, testimone di vite di passaggio.”
 
Foto ©AngelaPetruccioli
Testo ©AngelaPetruccioli

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