“Ma quanto ci mette? Ecco lo sapevo, di nuovo in ritardo… Mi sono sempre chiesta come mai più una cosa la aspetti con ansia e più quella arriverà in ritardo; è proprio vero che le attese logorano l’anima e la pazienza, e io sono famosa per non essere Gandhi! E a pensarci bene sono tante le cose che nel corso della mia vita sono arrivate in ritardo: le mestruazioni dolorose, il primo bacio con la lingua, l’agognata laurea, la prima vera relazione duratura, la patente di guida, il primo lavoro con relativo primo magro stipendio (anch’esso in ritardo), il primo trasloco per emanciparmi dalla famiglia e poi questo maledetto treno!… Eppure quando c’è qualche delusione in vista, lì sì che i colpi bassi arrivano subito. Come ganci ben assestati sulla bocca dello stomaco, gli insuccessi nella mia vita sono arrivati express, diretti e centellinati poco per volta: il primo fidanzato che ti lascia per la tua ex migliore amica, gli esami non superati perché il docente non ha gradito la maglietta a collo alto anziché la camicetta sbottonata, quella relazione che credevi fosse duratura e invece è finita con un messaggio vocale su whatsapp, il primo tamponamento per quello stronzo davanti a te che guardava il cellulare e non ha visto il pedone che attraversava, il primo licenziamento e la successiva siccità sul conto in banca, il quinto trasloco che ti fa pensare se oramai non sia meglio comprare una roulotte e darti alla vita da nomade. Solo una cosa non arriva mai puntuale: il treno! Eppure ci ho messo tanto nel decidermi, ci ho perso il sonno e le notti, mille i dubbi, mille le paranoie e una cosa sola speravo vivamente: non tanto la riuscita nell’intento che mi ero prefissata ma che almeno il treno, quel treno che mi avrebbe portato via lontano e che si dice passi una volta sola, fosse in orario. Ho chiesto solo una cosa a gran voce (non so a chi ma l’ho chiesto) durante tutte le nottate passate a fissare il soffitto: niente attese, nessun indugio perché so che effetto avrebbero avuto su di me e cioè il ripensamento. E allora dai, sbrigati a passare, che ho fretta di cambiare!…”
“E’ buffo vedere il mondo dalla mia prospettiva, ci penso spesso! Sono esattamente a metà strada tra l’alto e il basso, tra il cielo e la terra, tra questo e quello; ovunque io guardi c’è qualcosa da osservare, c’è qualcosa da capire e seguire. Le mie radici sono i miei occhi verso l’oscurità, verso ciò che c’è di più profondo, verso quel mondo sotterraneo invisibile ai più ma che è fondamentale per la mia sopravvivenza e che troppe volte viene deturpato, insozzato e devastato. I mie rami sono le mie mani protese verso il cielo, esse ricevono luce e la trasportano attraverso tutto il mio corpo rugoso e immobile cosicché io possa scaldarmi e gioirne. E mentre dei gabbiani passano sopra di me urlando sguaiatamente, il vento tra le mie fronde mi dà l’illusione che anch’io possa danzare e muovermi al ritmo dell’universo. E’ buffo, da un albero cosa ci si aspetta se non l’immobilismo? E’ buffo, voi mi considerate come un qualcosa di inanimato e superfluo, eppure io sono qua, vi osservo continuamente, voi che vi muovete come piccole formiche iperattive senza un filo logico o una necessità; cosa ne sapete voi di un albero, voi che non sapete cosa significhi “fermarsi”, distendersi, allungarsi per poi stare zitti e riflettere”
“C’è un silenzio spettrale, nessun rumore, niente di niente, tutto è fermo e immobile. Esco, ho il pigiama e sento un freddo micidiale nelle parti scoperte del mio corpo; rimango ferma sulla soglia della porta e mi guardo attorno. C’è bianco ovunque, accecante, mi fa girare la testa… sarà il freddo penso tra me, sarà questa quiete irreale, opprimente, anormale. Strizzo gli occhi per abituarmi, cerco di mettere a fuoco quel che non c’è più, mi obbligo a dare una forma a quel che forma non ha più, divento un radar per scavare e dissotterrare ciò che è stato sommerso. C’è neve tutto intorno a me, ovunque io guardi, ovunque… Mi manca l’aria, eppure c’è vento, lo sento freddo sulle guance e sui piedi nudi; sono ancora sulla soglia di casa, un mucchietto di neve cade dai rami dell’albicocco in giardino. Stalattiti pendono dalla tettoia che ha protetto una parte del vialetto, fiocchi grandi come un’unghia scendono nella completa assenza di rumore, cadono muti a terra, uniformi e spaventosamente perfetti. Mi perdo in questa visione, spaventata e curiosa allo stesso tempo, assorta nei miei pensieri sento qualcosa di freddo toccare le dita dei piedi, una folata di vento ha spinto in casa un pò di neve che subito si scioglie a contatto col pavimento. Ritorno in me come se qualcosa o qualcuno mi avesse dato uno schiaffo, non voglio che entri in casa, non voglio che ricopra anche me e mi soffochi nel silenzio che si porta dietro. Chiudo la porta e torno a letto, il gatto si acciambella nell’incavo delle mie gambe come se volesse salvarmi da quel freddo mortale col suo calore. Le sue fusa riempiono il silenzio e mi calmo immediatamente. Tutto torna rumorosamente alla normalità.”
Ho qui un piccolo elenco di parole preziose. È impressionante vedere come nella nostra lingua alcuni termini, che al maschile hanno il loro legittimo significato, se declinati al femminile, assumono improvvisamente un altro senso, cambiano radicalmente, diventano luogo comune; luogo comune un po’ equivoco che poi, a guardar bene, è sempre lo stesso, ovvero un lieve ammiccamento verso la prostituzione. Vi faccio un esempio. • Un cortigiano: un uomo che vive a corte. Una cortigiana: una mignotta. • Un massaggiatore: un chinesiterapista. Una massaggiatrice: una mignotta. • Un uomo di strada: un uomo del popolo. Una donna di strada: una mignotta. • Un uomo disponibile; un uomo gentile e premuroso. Una donna disponibile: una mignotta. • Un passeggiatore: un uomo che cammina. Una passeggiatrice: una mignotta. • Un uomo con un passato: un uomo che ha avuto una vita, in qualche caso non particolarmente onesta, ma che vale la pena di raccontare. Una donna con un passato: una mignotta • Uno squillo: il suono del telefono. Una squillo: …dai, non la dico nemmeno. • Un uomo di mondo: un gran signore. Una donna di mondo: un gran mignotta. • Uno che batte: un tennista che serve la palla. Una che batte: non dico manco questa. • Un uomo che ha un protettore: un intoccabile raccomandato. Una donna che ha un protettore: una mignotta. • Un buon uomo: un uomo probo. Una buona donna: una mignotta. • Un uomo allegro: un buontempone. Una donna allegra: una mignotta. • Un gatto morto: un felino deceduto. Una gattamorta: una mignotta. • Uno zoccolo: una calzatura di campagna. Una zoccola. Questo elenco non l’ho fatto io. Questo elenco lo ha scritto un uomo che si chiama Stefano Bartezzaghi, il professor Stefano Bartezzaghi, un enigmista, un giornalista, un grande esperto di linguaggio. Grazie, Bartezzaghi, per aver scritto questo elenco di ingiustizie. Io, che sono donna, le sento da tutta la vita, ma non me ero mai accorta. Ma questa sera non voglio fare la donna che si lamenta e che recrimina. Lungi da me… Però, certo, anche nel lessico noi donne un po’ discriminate lo siamo. Quel filino di discriminazione io, donna, lo avverto magari solo io, ma un po’ lo avverto, un po’ lo percepisco. Però, per fortuna, sono soltanto parole. Certo, se le parole fossero la traduzione dei pensieri, allora sarebbe grave, sarebbe proprio un incubo fin da piccoli. Eh, sì. All’asilo, un bambino maschio potrebbe iniziare a maturare l’idea che le bambine siano meno importanti di lui. Da ragazzo potrebbe crescere nell’equivoco che le ragazze in qualche modo siano di sua proprietà. Da adulto potrebbe – è solo un’ipotesi! – pensare sia giusto che le sue colleghe vengano pagate meno e, a quel punto, non gli sembrerebbe grave neppure offenderle, deriderle, toccarle, palpeggiarle, come si fa con la frutta matura o per controllare le mucche da latte. Se fosse così potrebbe anche diventare pericoloso. Sì si. Una donna adulta, o anche giovanissima, potrebbe essere aggredita, picchiata, sfregiata dall’uomo che l’ama. Uno che l’ama talmente tanto da pensare che lei e anche la sua vita sono roba sua, roba sua, e quindi può farne quello che vuole. Per fortuna, sono soltanto parole, solo parole, per carità! Ma se davvero le parole fossero la traduzione dei pensieri un giorno potremmo sentire affermazioni che hanno dell’incredibile, frasi offensive e senza senso come queste: • Brava, sei una donna con le palle! • Chissà quella cosa ha fatto per lavorare? • Certo, anche lei, però, se va in giro vestita così! • Dovresti essere contenta se ti guardano! • Lascia stare: sono cose da maschi! • Te la sei cercata! Te la sei cercata! Te la sei cercata! Te la sei cercata! Per fortuna, per fortuna, sono soltanto parole. Ed è un sollievo sapere che, finora, da noi tutto questo non è mai accaduto!”
Lo guardo e lo riguardo, mi fermo e lo osservo poi me ne vado infastidito, ma poi ritorno e lo osservo di nuovo. Lo scruto, lo fisso e ne cerco un movimento impercettibile negli occhi, una smorfia della bocca, una ruga sulla fronte ma lui niente, mi fissa con intensità, mi studia nel profondo. E’ statico e vivo allo stesso tempo, mi parla pur restando in silenzio. Come è possibile che tutta questa immensità e diversità possa essere racchiusa nel ritratto di te! Ti ho finalmente racchiuso in un unico tratto, ho delimitato la tua anima e la tua armonia, ho fermato la tua ferocia e la tua passione, ho fissato eternamente la tua bellezza e i tuoi difetti…
A chi non è mai successo di toccare il fondo, di passare un brutto periodo, di aver terminato le risorse fisiche e mentali, di non aver più voglia di lottare e di andare avanti. Tutti abbiamo avuto quel momento nero, quell’attimo di smarrimento, quel tempo di non ritorno eppure ne siamo usciti, magari un pò malconci ma ne siamo venuti fuori. Ed è in quel momento di rinascita, di fuga verso la luce che alla famosa domanda Oltre il buio cosa c’è?, troveremo una risposta o perlomeno crederemo di averne data una.
Quando osservo qualcuno di spalle, la mia immaginazione è come stimolata nell’immaginare storie e persone che si celano al di là di quelle spalle. Ancor di più se mi capita di osservare degli anziani… Effettivamente ne avrebbero di cose da raccontare, quante sofferenze hanno sopportato quelle spalle? E quante gioie le hanno alleggerite? quante delusioni sono state gettate dietro di esse? E’ sempre bello osservare le persone di spalle.