Al mercato del porto…

“…Il nonno mi ci porta quasi sempre al mercato del porto, aspetto con ansia per tutta la settimana il momento in cui mi dice “Te va de accompagna’ nonno al mercato nì?” e lì, senza un attimo di esitazione, gli rispondo subito di sì! Mi piace andarci perchè non è rumoroso come il mercato in piazza dove va la mamma, è più ordinato; il nonno poi si muove spedito e rapido tra i pescatori, sa da chi deve andare e sa già quel che vuole comprare . Alcuni pescatori sono suoi amici di vecchia data e quando ci andiamo, nel trattare il prezzo riesce sempre a spuntarla e ad avere quel qualcosina in più per fare una zuppetta di pesce, ricambiando il favore con un occhiolino e un caffè pagato al bar. Quei visi diventati oramai familiari, solcati da profonde rughe e bruciati dal sole e la salsedine, mi piace osservarli, studiarli fin nei minimi dettagli; mi diverto ad ascoltare le loro voci squillanti che cercano di convincerti a comprare di tutto, basta che gli fai togliere la cassetta di mezzo a fine giornata così se ne possono andare a casa tranquilli. Giovani e vecchi, sposati e non, tutti hanno una storia o tante da raccontartene, chi più avventurose e chi meno, e tutte avranno un unico protagonista: il mare. Tra tutti loro però ce n’è uno in particolare che mi ha sempre incuriosito, perchè mi ricorda il protagonista del romanzo di Hemingway ‘il vecchio e il mare’; il classico lupo di mare, un vecchio che se ne sta in fondo a tutti i banchi, in coda, ultimo tra gli ultimi. Le spalle curvate dal vento sferzante, le onde del mare lo hanno piegato e plasmato, il sole lo ha forgiato, il freddo gli ha mangiato le cartilagini; i gabbiani gli volano attorno come avvoltoi per racimolare qualche pesciolino o scarto che il pescatore gli lancia in acqua.  Non saprei dargli un’età, ma negli occhi ha mille mari e mille vite; un giorno chiesi a mio nonno se lo conoscesse e rispondendomi mi disse ‘no nì, nun lo conosco ma una cosa la so, quer vecchio solo e scorbutico, è rispettato da tutti; se dice che non abbia più una famiglia sua, il mare è casa sua e gli anni pe’ lui non conteno più…’ Mi sono accontentato di queste poche parole che raccontavano tutto e non sapevano di niente…”
 
Foto ©AngelaPetruccioli
Testo ©AngelaPetruccioli

L’estasi…

“…E rimasi in estasi ascoltando le note che le tue splendide ed appassionate dita facevano nascere dai tasti del mio pianoforte. Eri bella, di una bellezza struggente, sacra e delicata come la fiamma di una candela. La tua pelle tesa e bianca, le tue mani sottili e leggiadre creavano melodie che mi lasciavano senza fiato. In quel momento eravate solo tu e il pianoforte, la tua anima e la tua musica fuse in un unico istante di bellezza rara; mi lasciavi senza fiato, rapito e trascinato via, nel tuo mondo fatto di passione e amore fuori ogni limite. E mai avrei creduto di quanto fosse bello, perdersi per te e con te…”
 
Foto ©AngelaPetruccioli
Testo ©AngelaPetruccioli

Movimenti precisi…

“… -Cosa ricordi di tuo padre?…-
Bella domanda che mi sono fatta tante e troppe volte. I ricordi si fanno nebulosi, sfocati, brevi lampi di memoria mi fanno ritornare alla mente i piedi visti dall’alto quando mi portava sulle spalle, la sua faccia, i suoi vestiti, lui mentre guida per portarci in vacanza, l’odore al ritorno da una battuta di caccia, lui che torna a casa la sera stanco dal lavoro, lui che ci porta in barca e mi lascia la lenza affinchè qualche pesciolino abbocchi. Il mare sì, il legame diretto con lui è questo; una distesa blu a perdita d’occhio lievemente increspata dalle onde, i racconti di lui che va a pescare di notte, la sua passione oltre la caccia. Io che sono contro la violenza sugli animali,  me lo immagino mentre impreca contro un dio qualsiasi che gli ha fatto avere una figlia animalista; lo immagino mentre sicuro di quel che fa, guida la barca lontano, a largo, mentre si addentra nell’oscurità che solo il mare riesce a regalarti. Lui che sta lì, intirizzito dal freddo ma felice; la gioia nel tirare su cefali, orate, fragolini, scorfani… li slama veloce e li mette nella cassetta, rimette l’amo alla lenza, l’esca, il neon e lancia più lontano che può … Quell’inconfondibile rumore del mulinello che libera la lenza non lo dimenticherò mai. I suoi movimenti sono precisi, diretti, senza indugi, senza tentennamenti, esperienza e sicurezza guidano le sue mani anche di notte, al buio.
… – Cosa ricordi di tuo padre?…-
Ricordo il mare, di questo sono sicura…”
 
Foto ©AngelaPetruccioli
Testo ©AngelaPetruccioli

E’ bello tornar bambini…

“Cos’è che ci ha fatto intristire così? La vita o Il tempo che scorre veloce? Cosa ci ha reso così imbruttiti, chi ci ha rubato l’innocenza dai nostri occhi? Perché non riusciamo più ad essere ingenui e genuini, semplicemente contenti di vivere? Eppure sarebbe bello tornare bambini, ritornare a sorridere per una coccinella che ci si posa su una mano, a saltare nelle pozzanghere, a scarabocchiare fogli e pareti, a fantasticare sui colori di una bolla di sapone…”
 
Foto ©AngelaPetruccioli
Testo ©AngelaPetruccioli

L’abbandono…

“…E ora che si fa?… La curiosità è femmina ed io non faccio eccezione alla regola; parlo sempre da sola soprattutto quando esco per fotografare, chi tace acconsente ed io sono la mia interlocutrice  preferita. Mi sono svegliata presto oggi per una delle mie “battute di caccia”; il posto l’ho scelto due giorni fa, una casa abbandonata in un paesino qui vicino; ci vanno spesso tutti quelli che fotografano i luoghi abbandonati, ultimamente fioccano dal cielo queste associazioni. Ma io non farò come tanti, non voglio alterare la scena, io voglio interagire con essa, parlarci, e come un voyeur che si avvicina ma non troppo, quando arrivo alla casa abbandonata, rimango fuori. La studio, mi fermo e poi riparto; ho dovuto attraversare quello che una volta era un giardino ed ora è una foresta di rovi e ortiche, il cancello arruginito è poggiato a terra, sembra si stia riposando per la stanchezza. Faticosamente e con qualche graffio in più sulle gambe ( e spero solo quello) arrivo a ridosso della casupola; mattoni di tufo verdi muschiati fanno capolino da sotto l’intonaco venuto via, l’entrata ha ancora i cardini con un pezzo di legno ancora attaccato e del tutto ammuffito, una volta doveva essere una porta assai leggera; vedo solo due finestre da questo lato, le imposte di legno ci sono ma  dei vetri ormai ne sono rimaste solo le schegge in terra. Il tetto mostra solo alcune enormi travi in legno, quelle hanno resistito alle intemperie, ma non il rivestimento, venuto via ormai da tempo. L’insieme mi fa pensare ad una casa modesta, umile, contadini? Forse sì. Dopo le prime considerazioni, comincio a scattare, una, due, dieci fotografie, ogni angolazione e ogni punto luce è buono ma mi perdo, dopo un po’ mi rendo conto di aver smarrito il senso della mia visita e del tempo. Mi fermo, mi capita spesso quando esco, prima la perlustrazione, poi gli scatti a raffica e poi il disorientamento, ma mi riprendo sempre; c’è l’altra me che mi richiama all’ordine, la me più razionale e ordinata mi ferma e mi ricorda il motivo per il quale ho deciso di arrivare fin qui. Qual era il tuo obbiettivo? Ah sì. Ora ricordo, volevo fotografare l’abbandono ma senza adulterare il posto, devo interagire ed entrare nell’ottica. Cos’è abbandono? Pensa… E’ quel che resta dopo aver vissuto intensamente qualcosa, dopo averla desiderata, assorbita, masticata e poi risputata; è volere per poi lasciarsi, è amare per poi odiare. L’accezione non sempre è negativa, l’abbandono è lasciar andare, è far sopravvivere qualcosa anche dopo il nostro passaggio.
Ok, ora ci sono, sono rientrata nei ranghi, sono nella giusta prospettiva, la devo solo applicare al momento presente e al luogo… vai… parti… click!, click!, click!.. ok, ora basta… via. Niente sprechi, non rimango più del necessario, tutto si è svolto nel silenzio più assoluto, come piace a me. La totale assenza di rumori è la forma più alta di rispetto per ciò che qui è passato e vissuto; ecco è proprio questo il suono dell’abbandono, solo i miei piedi che schiacciano mattonelle rotte o rami rinsecchiti. Ora esco, torno a casa. Sono l’ennesimo abbandono per questa casa, testimone di vite di passaggio.”
 
Foto ©AngelaPetruccioli
Testo ©AngelaPetruccioli

Inverno dentro…

“…Era lì, seduta sulla solita panchina di pietra, dal naso sbuffava piccole nuvole di freddo, il cappello di lana era illuminato dal magro lampione accanto, come uniche compagne aveva qualche falena attirata dalla gialla luce sovrastante. Era il ritratto della solitudine invernale che attanaglia chi si porta un’assenza dentro. Aspettava forse qualcuno ma non ne sarei stata così certa, sembrava più un attesa immobile la sua, un fermo immagine grigio come il cielo. Ogni giorno si sedeva lì, in quel punto preciso, su quella panchina sotto quel lampione, e si fermava; rimaneva così, con lo sguardo perso di chi c’è ma non c’è, di chi è presente solo nel corpo ma non nell’anima, fissava un punto senza osservare nulla, non cercava niente con lo sguardo, lei aveva già trovato tutto e perso tutto al tempo stesso. Quanto si può rimanere fermi, persi in un posto e in un punto preciso, quanto tempo deve passare affinchè la vita possa riemergere? Non lo so, so che lei è lì, presente e al contempo assente, il freddo non la scalfisce, il buio non la turba, la solitudine non le fa paura. La osservo da lontano e non riesco a non fantasticare su di lei, sulla sua vita, annotando ogni piccolo dettaglio che possa farmi intuire qualcosa in più sulla sua vita.  Ma è impenetrabile come il freddo di questi giorni, eterea come la neve, lei ha l’inverno dentro.”
 
Foto ©AngelaPetruccioli
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Promesse da marinaio…

“…Quando lo vide lì sul molo, in divisa a parlar coi suoi compagni, lei sapeva come sarebbe andata a finire. Lo stesso valeva per lui quando girandosi la vide ferma nel suo vestito a fiori inondata dal sole di mezzogiorno. Si erano scelti prima di tutto con gli occhi, una connessione eterea che nessuno avrebbe potuto vedere e che solo loro potevano percepire. Cosa ci sarà mai dietro uno sguardo? Cosa può nascondere? Beh chiedetelo ai due innamorati e vi diranno che c’è tutto e non c’è niente, c’è caos e rumore, c’è pace e silenzio, c’è amore e passione, c’è desiderio e aspettativa, c’è paura e tensione. Si amarono, tanto, in ogni momento del giorno e della notte, si studiarono, memorizzarono ogni singolo tratto del loro corpo e della loro anima; la loro era passione allo stato puro declinata in ogni accezione fisica e mentale. Passarono ore e giorni ma  ciò che sapevano con certezza i due innamorati è che non sarebbe durata a lungo, il mare lo chiamava. Lui allora le disse “Tornerò te lo prometto!”
Ma come poteva lei credere alla promessa di un marinaio sposato con le onde e la spuma del mare, devoto ai venti e alla salsedine, innamorato delle stelle e dell’orizzonte sempre più lontano? Entrambi sapevano che non si sarebbero mai più rivisti… o forse sì, forse in un tempo e in uno spazio che solo loro avrebbero trovato.”
 
Foto ©AngelaPetruccioli
Testo ©AngelaPetruccioli

L’oblio…

“…E allora lasciami qui, lasciami soffocare nel buio, lasciami cadere nello sprofondo, lasciami sola tra mille voci, lasciami nella confusione di mille pensieri. Dimenticami e dimentica, abbandonami per non cercarmi più, perché sai che non sarebbe mai come prima, non sarà mai come tu vorrai. Lasciami in questo spazio affinché io possa vagare indisturbata, lasciami nel tempo di un battito di ciglia che diventerà eterno come l’oblio a cui mi consegni…”
 
Foto ©AngelaPetruccioli
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L’attesa di quel treno…

“Ma quanto ci mette? Ecco lo sapevo, di nuovo in ritardo… Mi sono sempre chiesta come mai più una cosa la aspetti con ansia e più quella arriverà in ritardo; è proprio vero che le attese logorano l’anima e la pazienza, e io sono famosa per non essere Gandhi! E a pensarci bene sono tante le cose che nel corso della mia vita sono arrivate in ritardo: le mestruazioni dolorose, il primo bacio con la lingua, l’agognata laurea, la prima vera relazione duratura, la patente di guida, il primo lavoro con relativo primo magro stipendio (anch’esso in ritardo), il primo trasloco per emanciparmi  dalla famiglia e poi questo maledetto treno!… Eppure quando c’è qualche delusione in vista, lì sì che i colpi bassi arrivano subito. Come ganci ben assestati sulla bocca dello stomaco, gli insuccessi nella mia vita sono arrivati express, diretti e centellinati poco per volta: il primo fidanzato che ti lascia per la tua ex migliore amica, gli esami non superati perché il docente non ha gradito la maglietta a collo alto anziché la camicetta sbottonata, quella relazione che credevi fosse duratura e invece è finita con un messaggio vocale su whatsapp, il primo tamponamento per quello stronzo davanti a te che guardava il cellulare e non ha visto il pedone che attraversava, il primo licenziamento e la successiva siccità sul conto in banca, il quinto trasloco che ti fa pensare se oramai non sia meglio comprare una roulotte e darti alla vita da nomade. Solo una cosa non arriva mai puntuale: il treno! Eppure ci ho messo tanto nel decidermi, ci ho perso il sonno e le notti, mille i dubbi, mille le paranoie e una cosa sola speravo vivamente: non tanto la riuscita nell’intento che mi ero prefissata ma che almeno il treno, quel treno che mi avrebbe portato via lontano e che si dice passi una volta sola, fosse in orario. Ho chiesto solo una cosa a gran voce (non so a chi ma l’ho chiesto)  durante tutte le nottate passate a fissare il soffitto: niente attese, nessun indugio perché so che effetto avrebbero avuto su di me e cioè il ripensamento. E allora dai, sbrigati a passare, che ho fretta di cambiare!…”
 
Foto ©AngelaPetruccioli
Testo ©AngelaPetruccioli